ARANCIA AZZURRA
Nel marzo del 1987, in uno degli angoli di un quadro che ha per nome - affiancato da un colore che ne muta la sostanza - il nome del frutto che prima di allora, col colore ancora "naturale" originario, aveva occupato una parte, se non proprio marginale, certamente non predominante nel mio lavoro, nacque l’elemento fondamentale di quello che nei mesi a venire sarebbe diventato un importante e impegnativo ciclo pittorico e, più in là, anche scultoreo. Ruolo non basilare, dicevo, nel senso che l’arancia (è il frutto di cui sto parlando e, d’altro canto, non sarebbe potuto essere diverso, non avrei potuto sceglierne un altro di frutto né, in quel momento, tuffarmi a capofitto in nessun altro luogo - e ciò per tutta una serie di motivi adesso chiarissimi - che non fosse l’insieme compatto delle innumerevoli increspature viventi dell’arancia nei percorsi impervi - dalle valli nascoste alle dune assolate, dalle pianure dorate ai monti nebbiosi - dell’emblema lavico mediterraneo che l’arancia per eccellenza rappresenta) risultava sì evidente in certi quadri - alcuni dei quali costruiti nei minimi dettagli e straordinariamente complessi - ma come facente parte di un insieme di frutti; insieme che era un tutt’uno con drappi in prevalenza rossi e bruni organizzati nel dispiegamento altero e vezzoso dall’accuratezza del disegno delle pieghe, e tanti altri componenti, a volte assai diversi tra loro, che all’aspetto globale (spesso colossale del quadro), pur nelle contenute dimensioni della tela, in larga misura contribuivano.
In quella fase del mio lavoro intensa e fortificante, cospicua per qualità e per quantità di quadri, in cui videro la luce anche le Isole (barche che stanche di viaggiare mettevano radici sull’acqua e diventavano, appunto, isole), i Frutti Passi (quale goduria dipingere quei frutti, mele e pere, che giorno dopo giorno anziché marcire diventavano pittoricamente sempre più commestibili accartocciandosi, richiudendosi in se stessi e cambiando continuamente forma e colore), nacque, quindi, Arancia Azzurra. L’anno prima, l’86, era stata la volta dei Gatti, del magnifico incontro ravvicinato, quotidiano in una lunga, bellissima, indimenticabile estate, coi miei Maestri: Raffaello, Van Eyck, Van der Weyden, Leonardo, Tiziano. Nel novembre di quello stesso anno, la prima mostra a Milano, in una Galleria che adesso non esiste più, sull’intenso lavoro di quell’estate, diciotto quadri di medie e piccole dimensioni; titolo della mostra: I miao Maestri.
In quell’ autunno, perciò durante l’esposizione dei Gatti e dopo, ricominciai a dipingere, questa volta da soli - in tele nelle quali concentravo una considerevole massa di dettagli pittorici in meno di metà spazio lasciando il vuoto sopra di essa perché potesse allargarsi respirando – quegl’imponenti insiemi di frutti su drappi involti, i quali , all’interno di impianti geometrici, (i due quadrati ruotati e il cerchio, che facevano battere come un cuore le tele immettendo in esse un impulso vitale), dall’84 erano stati protagonisti in pittura procedendo di pari passo allo studio approfondito delle sole strutture geometriche, portate, queste ultime, alle estreme conseguenze in certe composizioni di tela e legno che abbracciavano, estendendosi, lo spazio su cui venivano adagiate, ed erano, per così dire, un felice punto d’incontro tra una superficie dipinta su vari livelli e una leggiadra scultura policroma.
Quindi Arancia Azzurra apparve, non da protagonista, nell’angolo in basso a sinistra di un quadro, bello, ben dipinto, il quale sembrava avere tutt’altra genesi che non quella di fare da supporto al fiorire di un nuovo, algido frutto; tutt’altro motivo dominante, un significato distinto da quello per il quale, invece, avrebbe preso il nome: l’origine di un piccolo frutto il cui colore era diverso dal suo naturale e che di lì a poco sarebbe diventato centrale in molta parte della mia pittura, almeno del 1987 e dei primi due mesi dell’anno successivo. Anzi, c’è da dire che sono proprio Arancia Azzurra e i Gatti a ritornare con una certa frequenza in tutto l’arco della mia attività tra un ciclo e l’altro che con loro, a prima vista, pare non avere attinenza.
La marginalità del luogo d’origine non era certamente dovuta alla vaghezza dell’identità di Arancia Azzurra invece già perfettamente definita a tutto tondo nei suoi minuziosi connotati, luccichio lavico celeste compreso, fin dagli esordi, ma, e credo di non sbagliare affermandolo adesso a mente fredda, perciò con un giudizio più distaccato a distanza di tanti anni che hanno ammorbidito e disteso il coinvolgimento quasi corporeo dei primi approcci, ad una ricerca assai precoce e, si vede, in quel momento non ancora del tutto soddisfatta, della inconfutabile certezza sul luogo-intorno in cui poter trovare tranquillità e agio.
Alla base di un monumento ad una canestra di frutta con mele, noci, arance, seminascosta da grovigli di drappi, chicchi d’uva in controluce turgidi, trasparenti come alabastro, a poca distanza da una donna che si ridesta in tutta la sua bellezza, che offre alla luce i suoi magnifici seni tondi e mette a posto i lunghi capelli rossi salendo, con una mezza torsione, al di là di un tavolo in parte coperto di frutti in esso disseminati e illuminati da una luce radente, dalla penombra del fondo fece capolino Arancia Azzurra.
Mi resi conto quasi subito che quella piccola e periferica parte del quadro che ad una visione superficiale sarebbe risultata trascurabile o tutt’al più un gradevole capriccio coloristico, era invece di una notevole importanza e andava totalmente scoperta, indagata e capita appieno. A maggior ragione mi rendo perfettamente conto adesso di quello che è successo, se si pensa che l’insieme degli interrogativi da lei sul momento catapultati, doveva essere già allora molto consistente e assolutamente da approfondire dato che la magnificenza del quadro, davvero molto bello, non era riuscita a mimetizzare né lei né ciò che suscitava, anzi succedeva l’inverso, da Arancia Azzurra veniva messo in secondo piano tutto il resto.
Capii quindi che con Arancia Azzurra era nato un concetto pittorico che avrebbe modificato il mio modo di pensare e di vedere
Proprio perché l’arancia identifica e può essere identificata dal suo stesso colore, dalla superficie alle più profonde viscere, diventa un’altra cosa quando al nome-colore iniziale si affianca e sovrappone un altro particolare colore, ma non può essere quest’altra cosa se al contempo non continua ad essere quello che era. Arancia Azzurra è nello stesso momento quello che era e quello che è. E’ fatta di due colori complementari e quindi totalmente diversi. E’ lei e il suo opposto. Arancia Azzurra è la simultaneità degli opposti.
Di seguito, un altro importante quadro "Dove c’è la luna c’è anche il sole" e ancora tante altre Arance Azzurre su tele e tavole, a volte con le ombre illuminate.
E’ nel pieno fermento creativo di quel periodo, tra marzo e aprile dell’87 che ho iniziato un dipinto fondamentale non solo nell’ambito del tema a cui appartiene ma nella totalità del mio lavoro: "La nascita di Arancia Azzurra e tutto ciò che le ruota intorno". Finito negli untimi mesi del 1999, proprio in virtù di questa attiva dilatazione portata dal lungo periodo di lavoro al limite della misurabilità e della capienza, divenuto un luogo (superficie) di accumulo sedimentario e gemmoso di tutto ciò che, seppur a prima vista distante, per e dopo Arancia Azzurra è venuto, questo quadro, dicevo, è forse il più complesso, quello che più di ogni altro ha in sé esperienze diverse; non identiche, è bene precisarlo, ai motivi ispiratori anche nell’atto della riproposizione, perciò apportatori di quell’andirivieni iconografico che scardina la cronologia trasformandola e contraendola da conseguenziale retta a simultanea circolare. E’ senz’altro il più impegnativo, sicuramente dal punto di vista della struttura compositiva, ma non solo, che io abbia mai fatto.
Non fraintendetemi, ciò di cui adesso sto per parlare non vuole essere un paragone; mi guardo bene dal farlo e sarei uno sciocco assolutamente privo del senso delle proporzioni se solo pensassi di tentarlo. Ancor più azzardato se si pensa che proverrebbe da chi si accinge a puntualizzare un esempio, "a misura di Sicula" di un felice connubio tra arte e matematica. No, no, per carità! Stiamo con i piedi ben saldi a terra; il mio è solo il desiderio di rendere onore a un punto di riferimento ben preciso che consciamente emerge a fatto compiuto ma forse non come traguardo di partenza di un progetto iniziale.
Il dipinto La nascita di Arancia Azzurra e tutto ciò che le ruota intorno mi porta alla mente, prepotentemente, ogni qual volta mi trovo al suo cospetto, La Scuola d’Atene.
Che strattoni all’epidermide e a tutti i peli drizzati del corpo avere la possibilità di vederne il cartone a pochi passi dalla Canestra di frutta! Quale scampanellante sommovimento delle ossa riesce mai a provocare in tutto il corpo la certezza che è sufficiente varcare qualche porta, andare da una stanza ad un’altra poco lontano per passare dal primo, insostituibile monumento alla frutta, l’archetipo – posto su un piano concettuale rialzato – di un insieme di frutti, al più misurato spazio geometrico –architettonico che sia mai stato dipinto; in un luogo in cui, per assurdo, la misura esatta di ciò che ai massimi, divini livelli alla pittura può essere richiesto, c’è e nello stesso tempo manca. O meglio, nella grande sala antistante la parete sulla quale è adagiato il disegno di una parte della Scuola d’Atene la completezza la si sente, vagante, e per vederla in pieno occorre spostarsi, complice la penombra e l’aria bramantesca che ivi e tutt’attorno si respira (Santa Maria delle Grazie dista qualche centinaio di metri) insieme, appunto, a Bramante, nel tempo e nello spazio. E forse in tal modo, per questo impegno mentale aggiunto, spossante per l’energia per di più fisica richiesta, diventa ancor più imponente il levarsi a festa, per ogni dove, di un puntuale, ineguagliabile equilibrio. E la perfezione rimane modellata dentro , incancellabile, sciorinata dalla profonda inspirazione conseguente ad una emergenza subitanea, ad una ricerca aerea della più esatta calibratura dello spazio in espansione che sia mai stata dipinta.
A questo punto può sembrare strano, ma la stretta unione che nella memoria si è instaurata tra la Canestra di frutta e La Scuola d’Atene, ha ridotto le dimensioni dell’opera di Raffaello e ingrandito quelle del dipinto di Caravaggio, senza per questo stabilire una scala di valori che partendo da una arrivi all’altro e viceversa. Due immensità apparentemente lontanissime si sono fuse in una; sono diventate un corpo unico assolutamente non più misurabile.
Nell’eseguire il quadro La nascita di Arancia Azzurra e tutto ciò che le ruota intorno, grande come un campo di battaglia di più di due lustri, in un periodo, già di per sé lungo, allargato sino allo spasimo (tante cose sono successe nel frattempo, troppe), non c’è stata, né del resto voleva esserci, emulazione. Lo schema compositivo, gli elementi, i protagonisti, i coprotagonisti e le comparse, e la distribuzione degli stessi, sono del tutto diversi. Ma una parte di quel "sovrannaturale terreno" penso di essere riuscito ad accreditarla al mio dipinto; il senso di dilatazione graduale dello spazio, la capacità di indirizzare la disponibilità dell’anima verso la bellezza che dà ad alcune opere un’identità non comune, le rende particolarmente riuscite, uniche. E’ un quadro che si nutre di geometria di forma, colore e concetto; di simmetria di masse concordi ma anche di una simmetria altra, quella avvolgente e dinamica della spirale, quella combattuta e avvincente degli opposti. E’ come quei quadri che hanno un sicuro modo di progredire nella loro vita, e proprio perché fatti come organismi viventi, prima di tutto mutevoli e col continuo desiderio di avanzare arricchendosi di conoscenza e modificandosi nel tempo.
L’albero ad un’estremità, per metà saturo di fronde, per metà filiforme (quindi pieno e vuoto), il dondolo e il piedistallo dalla parte opposta del quadro (vuoto e pieno), nello scambio di masse e negazioni di esse, i due estremi si attorcono attorno alla spirale della buccia "arancio non arancio" dell’arancia di un arancio lievemente fossile (lieve come un lunghissimo lasso di tempo che dalle più lontane ere geologiche arrivi sino a noi). La buccia avvolge un cavalletto triangolare (sul triangolo si basa gran parte della struttura geometrica del quadro).
La margherita bianca da una parte e l’uva passa scura dall’altra (ognuno di questi elementi riguarda un ciclo pittorico ben preciso che si è a sua volta più o meno protratto nel tempo); l’uovo e la sfera, la natura da una parte e la geometria dall’altra; tutti e due tenuti sospesi da due asticciole rosse che richiamano l’arancio della buccia che va e le cui estremità formano, con quest’ultima, un triangolo equilatero. Tre angoli tra di loro strettamente collegati da un colore caldo, ma non solo a livello cromatico. Sono tenuti insieme da uguale senso dell’esistenza, come se sia la sfera che l’uovo potessero avere una ragion d’essere che prescinde da ciò a cui sono collegati, come se natura e geometria potessero esistere anche se privi di qualsiasi collegamento ad altro. Proprio come Arancia Azzurra: essa non è più un frutto perciò deperibile, ma un concetto, di conseguenza incorruttibile ed eterno. E’ evidente che le asticciole e la buccia arancione lasciano il posto all’Arancia Azzurra, all’uovo e alla sfera, con un senso di apertura verso l’alto che è come un vasto respiro.
La mela e la noce con toni neutri, il tubo spremuto col residuo del colore che un tempo conteneva: un bel giallo acceso.
E’ un dipinto che sento vivere come un cuore di cui, per cerchi concentrici scossi dal perno fermaquadri del cavalletto che chiude la realtà e promuove i sogni sino a noi spettatori presi per mano, arriva il battito della vita.
G.S.