CACTUS

 

Voglio espugnare la densità vivente arroccata dietro postazioni guardinghe chiuse in tubi che traboccano colore da ogni loro piega, risucchio accaldato oppure docile di un’emozione , sibilo di una freccia quanto mai appuntita piantato nel corpo di un rilievo fluttuante.

Le tele devono far pulsare il loro cuore e il sangue deve scorrere lungo i fili di lino e penetrare nel legno. Coagulare nei chiodi per precludere frettolose vie di ritorno che non permetterebbero al colore, che a sua volta deve pulsare, di farlo a suo modo, riaprendo ferite già cicatrizzate e provvidenziali, acuminate  corse ad ostacoli.

La testa come una mongolfiera, le braccia come il maestrale da una parte e lo scirocco dall’altra. Le gambe come altissimi tronchi di sequoia, i piedi come rocce sbattute da un mare in burrasca, come due estremità pesanti di un Colosso di Rodi redivivo. Pulviscolo leggero, rarefatto. Ansimante respiro, equatore spartiacque. Un piatto prolungamento stabilizzatore da cui far tuffi nel bel mezzo della schiuma effimera di un’onda davanti al mare della Sicilia. Un altro, posto prelibato, trampolino sinfonico per salti acrobatici in groppa a pesci volanti, conficcato negli acquitrini pentiti della Pianura Padana.

E io lassù, resistente a tutte le intemperie. Vieni da me pittura! Investimi! Attraversa il mio cuore, passami da parte a parte! Combattete su questo campo di battaglia prodi guerrieri dell’Arte! Quadri giganteschi, avvolgetevi attorno a me come cartocci, strozzatemi con la vostra potenza! Urli della pittura, cammini trasversali dell’udito riempitemi la testa. Sentieri impervi tessete le vostre ragnatele d’onde e di suoni. Spettri acustici, apparizioni straripate e sommergete tutto quanto vi si para innanzi. Riempitemi di tempo per agire, la voglia non mi manca. Voglio dipingervi, e dipingere ogni cosa! Voglio dipingere voi e dipingervi addosso. Voglio fare altro di voi e dipingere la mia verità sulla vostra.

Donna, voglio abbracciarti su un luccichio di una corazza di mastice. Riflettere il tuo amore. Diventare te mentre ti dipingo. Io, uno dei guerrieri dell’Arte, armato di tela e pennello, con medaglie di terra di Siena al valor pittorico, cospargo colore sul tuo amore, me ne compiaccio e ne godo. Raggomitolati come un uovo, poggia il capo sulle tue ginocchia che salderai soffiando per spegnere generosi approcci di terremoti autunnali, cartoni per spolvero di fiocchi lavici, marchi a fuoco su un cielo plumbeo. Con le braccia forti e vellutate aggrappati alle tue mani per non cadere in un precipizio. Racchiuditi per accrescere la tua voluttuosa prestanza. Fammi conoscere la tua potenza di scioglimento, mettila in atto nei legacci che ti tengono compatta e roteante nel guscio che ti costringe. Voglio essere pittura, solo pittura.

Tornate da me colori, ricoprite ogni pelo del mio corpo, ogni pelo una spina, ogni capello un’antenna mobile per carpire le brezze e le tempeste, imprigionare gocce di sole, colture fossili, muschio, alghe giallo-verdi o putrefatte, cipressi sottomarini, alberi lunari, verdi squillanti accesi con penuria d’intenti come i fuochi di legni rinsecchiti che bruciano per rinascere in buche di cenere. E la cenere bene educata pone le più lontane estremità delle radici nelle nuvole che le aggrappano e le carezzano, e della duttilità ne fanno volute immaginarie per castelli incantati. Ma quali zanne, ma quale avorio! Quali corni di rinoceronti, quale pelle di coccodrillo, quali pellicce di ermellino. Mastodontici muri e ponti levatoi che chiudono buoi, martore, cinghiali, maiali, solleticanti cataste di pennelli e peli da disperdere al vento in un andirivieni instancabile, giri vertiginosi di giostre, spirali in un senso e nell’altro, tratti e punti, segmenti, rette, impennate, soffici carezze, struscio di versi animali; baci, toccatine, allontanamenti, confuso vocio. Schiaffi, parole dure; vibranti,accorate risposte. Percosse. Ancora carezze, quando la voce dei peli si fa muta.

Voglio tagliarmi come una cornice. Un angolo retto chiuso in bilico riverente incollato ad un abbraccio. Effusioni di aste, un tutt’uno che percuoto con grigi scuri e grigi azzurri. Passo e ripasso in una trama su cui si scioglie e mugugna il superfluo che si disperde nel muro.

Non occorrono attaccaglie, lisce, istoriate, pieghevoli, di bronzo o dorate, che scompaiono come attori dietro le quinte e aggiungono un imprevisto a cui legare una vita. Non si riesce a tenere in così poco spazio, una vita.

Tutto è pigmento. Le case, il vino, il latte, la terra, il legno, le pietre, i pensieri, le fantasie e camminare; spostarsi di lato, le improvvise eruzioni di umore, le voglie, girarsi velocemente, mettersi a testa in giù, fare capriole. Tutto è colore. Voglio dipingere tutto. E non è possibile! Ma quante cose sfuggono alla mia mano che vorrebbe tutto quel tempo di cui necessita e che mai potrà avere!

La sera mi addormento sognando pittura. E animale marino, da una vetta bianca di neve, scendo a valle, e percuotendo sassi di fiume, arrivo, con salti di gioia, al mare per guardare i fondali che tra milioni di anni saranno montagne, e io con esse, spine conficcate in una roccia. Monumento all’Arte e alla Natura.

G.S.

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