ONDE NAUFRAGHE
Del poeta il fine è un interminabile silenzio
nel nulla che prima di lui è stato
e dopo di lui sarà.
Pittore senza sosta perciò naufrago,
come la cresta delle onde nel mare.
Il sesto, il senso più attento,
il mare l’attore più vero,
dal vento l’applauso più forte.
Una cosa accade, trascurabile quanto si vuole,
oppure immensa, non solo all’apparenza:
Nel fragore consunto della cera fusa di Gemito
che passa e va
a sbattere contro i vicoli di Dedalo,
un quadro senza nome
è sommerso da uno sparo
e da un mare di piume
per attutire la caduta di Icaro.
G.S.
MONDO A DONDOLO
Tutto è finito brevi manu
nelle smunte e contorte lische
di un terremoto planetario.
Crollano le linee e le righe,
crollano i punti.
Crollano i muri e crollano le steppe,
crollano i progetti e le scialuppe.
Tutto crolla nel breve luccichio
di pochi petali strappati che,
ruminando tuoni (secchezza di fauci incolte),
ingoia se stesso.
G.S.
ISOLAGHI
Cocci di viaggi, onde naufraghe
e innumerevoli sogni interrotti
nutrono gli abissi del mare.
Gli isolaghi sono gabbie,
una dentro l’altra,
solo l’ultima, nell’infinita soma,
ha le sbarre tanto fitte, tanto vicine
l’una all’altra, che niente può entrare
e niente può uscire.
Tentare di dare un solo connotato stilistico
agli isolaghi
è come cercare di ingabbiare il vento,
col rischio che, chi si prende la briga
di intraprendere quest’azzardo,
con la gabbia e con le onde naufraghe,
finisca per nutrire, a sua volta,
gli abissi del mare.
G.S.
SALVATE L’ACQUA
Vogliamo l'acqua che ci bagni
e il vento che ci asciughi.
Salviamo l'acqua!
G.S.
Come talvolta, senza bisogno di guardare il cielo coperto di nubi, si può sentire, dal solo colore del paesaggio, che la luce del sole non è bensì ancora apparsa, ma che il torbido velo che la copre si sta staccando e si prepara a essere tirato via, che perciò per questo solo motivo e senza bisogno di altre prove ben presto splenderà il sole dappertutto.
Kafka
GOCCE FOSSILI SU UNA QUIETE ARCAICA
È da allora che navigo seguendo la rotta
dei temporali d’estate,
sempre sul limitar
di qualcosa che finisce,
non ho mai smesso di remare.
In quell’epoca, ricordo di aver visto,
un uomo viola che, davanti al mare,
contava le onde.
Vidi anche tante uova di varisauri; e
i colori cangianti degli alberi del mare
nel luogo in cui un giorno sarei stato
perché terra d’Esperia.
Poi, come in tutto ciò che è, ad un tempo,
speculare ed ha anche il rovescio,
la goccia fossile, vidi,
in quel dì di notte, e quindi intrapresi
d’un tratto l’impresa dell’intreccio dei lati
di un quadrato
per dipingere, far vive
le cose sopra l’idea delle cose e
una lunga, grigia,
duplice quiete.
G.S.
L’ISOLA DEL DR. MOREAU
Fu lo stesso giorno in cui una finestra, mollemente adagiata su una bolla di sapone ribelle, dall’alto della sua elevata posizione e da tutti quei vapori che le ronzavano attorno, decise di dissertare, rivolgendosi all’immensa platea di finestre sottostanti, sull’eventualità di una totale desertificazione, che, per meglio capire cosa stava accadendo, volli tuffarmi a capofitto nel precipizio che da quella luce si apriva. Quale non fu la mia sorpresa nel vedere che stavo emergendo da una lunga, estenuante salita dal fondo del mare, davanti a quella che sembrava un’isola, tra le piccole che fanno da satelliti alle grandi isole, di media grandezza, con le pareti scoscese, apparentemente priva di approdi, nella quale chiaramente stava accadendo tutto il contrario di ciò che doveva essere fatto. “Fermi!”. Dissi ad alta voce, chiamando a raccolta tutto il fiato ─ e non era molto ─ di cui in quel momento potevo disporre. Capii che era stato l’odore bagnato di quelle urla strazianti, che ora sentivo più distintamente, infangate da un indicibile dolore, a richiamare la mia attenzione e a farmi correre in superficie.
L’urlo di Art, la vivisezione di ogni insetto, del loro sogno che nel buio cieco ininterrottamente avanza; la corsa a gomito della Wells Fargo, Il bagno nell’oro elettrico dell’Orient-Express tagliato in viaggio, tutti quanti infine abbandonati nell’occhio che troppo ha pianto di un immenso tempo. Ancora più convinto, dissi: “Fermi!”
Mai e poi mai li avrei abbandonati al loro destino privandoli della capacità di giudizio, sia pure ridotta, nell’eremo perduto, luogo degli assalti a testa bassa, dei giocolieri macilenti e delle vite per metà spezzate per metà squartate in scena, ondivaghe da mattina a sera, in procinto di un volo senza ritorno. È vero, fu così che tutto accadde. Fu così che mi trovai invischiato in un oceano di gabbie.
G.S.
SCACCHI A DONDOLO
Il gioco gioca da sé e per 32,
per 64 volte.
La ragione, una prigione illuminata.
La realtà è estranea ad ogni cosa,
mi passa davanti e non la vedo,
mi ruota attorno e non mi tocca,
mi respinge allontanandosi,
cadendo mi fa grande.
Il gioco gioca per sé e per 32,
per 64 volte.
Sopra un sottofondo di parole
bianche e parole nere,
accanto a un canto bianco
e un canto nero,
il gallo sveglia dal torpore
il giallo e una bianca nenia.
E tutto gioca
per 32, per 64 volte.
Gli eroi messi in fila
che sognano senza soffrire,
che viaggiano senza spostarsi.
Tutto gioca per 32, per 64 volte,
con un sorriso lieve e appagato.
I cavalli che galoppano sui dondoli
sovvertendo il campo di battaglia
gettano il superfluo dalle torri.
Si ricomincia da capo uccidendo la ruota
e non i chiari di luna.
G.S.
ANTENNE CERCASOGNI
Io di sogni non vivo
ma se mi sposto un po'
ne trovo ancora tanti da doppiare
e tanti ne verranno
a spizzicare i giorni
e i giorni rimasti non faranno
che assolvere i giorni copie di se stessi
giorni che soltanto aspettano
un sonno infinito e senza sogni.
Tra lo spazio rivolto e quello involto
c’è ancora spazio per l’Alfa Centauri,
c’è ancora da dipingere una manciata di polvere,
che già non si vede,
tra una stella e l’altra.
I sogni sono di tre tipi:
Il sogno a coppie
Il grande sogno
Il sogno interrotto.
Tutti ruotano in mezzo alla polvere delle stelle.
Spenta la luce non rimane che
qualche pezzetto di legno colorato
e della polvere sparsa
su una lastra di vetro.
G.S.